L’origine nasce dall’ironia innata dei fiorentini.
In Arno, fino al secolo scorso era ricco di un pesce d’acqua dolce molto prelibato, che veniva consumato durante il Rinascimento dai fiorentini più ricchi.
Si chiamava lampreda ed era una specie di anguillona.
I popolani, non avendo a disposizione le risorse per poterselo permettere e nemmeno per potersi permettere i pezzi prelibati dei bovini, si dovevano accontentare di consumare i prodotti di scarto delle carni che venivano macellate.
Molte di queste parti del quinto quarto venivano fatte bollire e vendute poi a buon mercato nelle bancarelle poste lungo le sponde dell’Arno.
Tra le varie frattaglie compariva anche il lampredotto che ricordava, per le sue crespature, la bocca del pesce lampreda.
I fiorentini, notoriamente dotati di grande ironia, iniziarono quindi a chiamare questo piatto con il nome di lampredotto, per assonanza con il raffinato pesce consumato dalla nobiltà e dal clero.
Subito dopo la seconda guerra mondiale non vi era rione fiorentino che non avesse il proprio trippaio in giro per le strade. Prima di loro, erano stati gli ambulanti con i carretti tirati a mano che si trovavano gli angoli delle vie e delle piazze a vendere trippa e lampredotto. Il carrettino era tipicamente carenato in lamiera e veniva spinto a mano. Era dotato di un pentolone per la cottura e una baciasca zincata in cui venivano rinfrescati i tagli che erano coperti da un velo di garza bianca.
Il brodo veniva tenuto in caldo con fornelli a carbone o a spirito.
Ai primi del Novecento i carretti vendevano spesso solo il prodotto che, dopo essere stato spurgato, spellato, lavato e bollito, era pronto per essere cotto a casa.
Ogni trippaio era un vero e proprio personaggio. E’ quindi sempre stato naturale dedicar loro battute e sonetti.

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